Riflessioni sull’educazione interculturale nei servizi all’infanzia 0-6: la presenza di bambini stranieri nei servizi all’infanzia che la Cooperativa Sociale Itaca gestisce è una realtà che ha portato ad interrogarci costantemente su risorse e prospettive di integrazione dei piccoli e delle loro famiglie nei singoli servizi.
PORDENONE – La presenza di bambini stranieri nei servizi all’infanzia 0-6 che la Cooperativa Sociale Itaca gestisce è ormai da tempo una realtà che ha portato ad interrogarsi costantemente su risorse e prospettive di integrazione dei piccoli e delle loro famiglie nei singoli servizi. Ciò che emerge con forza è la necessità di un’educazione interculturale fin dalla primissima infanzia, con adulti pronti a dare risposte adeguate alle domande dei bambini, consapevoli che le nostre identità si trasformano continuamente in rapporto alle persone che incontriamo.
Tuttavia, ancora forte è la paura del cambiamento. È sottile e non esplicita in alcuni casi, in altri dichiarata e marmorea. Sì, perché il cambiamento spaventa, ma non possiamo non fare i conti con la nostra società che è mutevole, si trasforma ed è in continua evoluzione, esattamente come lo sono i bambini di cui ci prendiamo cura ogni giorno. Curiosi ed eclettici, piccoli esploratori liberi e pro-sociali, ma pur sempre attenti e capaci di cogliere le differenze. I bambini, infatti, riconoscono le differenze, non sono ciechi come qualche adulto vuole credere.
Recenti studi hanno dimostrato che già a 6 mesi un bambino distingue i colori della pelle delle persone, a tre anni ha sviluppato già alcune abilità sociali che gli permettono di comprendere quale gruppo è dominante rispetto ad un altro. Ben Jelloun (1998) afferma che un bambino, curioso di capire e di scoprire ciò che sta attorno a lui, non può, tuttavia, nascere razzista, ma lo può diventare in base all’educazione che riceve e al contesto in cui vive. Il razzismo, infatti, prende forma da un turbamento di certezze e, poiché l’essere umano ama vivere nella stabilità, il “diverso” porta destabilizzazione e incertezza.
Quale, dunque, il ruolo dell’adulto nel supportare il bambino alla scoperta del diverso? Come aiutare i nostri bambini ad orientarsi e comprendere un mondo così mutevole e variegato se noi, per primi, siamo disorientati e, alle volte, pieni di paure verso ciò che è diverso da noi?
Amir è stato adottato da piccolo, ora ha 4 anni ed è ben integrato nella classe, una classe di 24 bambini di età diverse dai 3 ai 5 anni. Amir ama disegnare e quando disegna sé stesso lo fa usando la matita marrone. Un giorno Amir si ammala e rimane assente per diverso tempo. I compagni di classe propongono di fare dei disegni da mandare ad Amir, per salutarlo: nel rappresentare sé stessi, ed il compagno dalla pelle scura, tutti i bambini utilizzano lo stesso colore, il rosa.
Viene dunque meno la teoria innatista del riconoscimento delle differenze? Crediamo proprio di no: crediamo semplicemente che i bambini, vivendo a contatto diretto con Amir, abbiano imparato che lui è un bambino esattamente come loro, anche se la sua pelle è scura.
I bambini colgono le differenze e chiedono spesso agli adulti perché quel bambino non parli la loro stessa lingua, o perché sia di colore diverso. Difronte a queste domande “scomode” noi adulti educatori possiamo reagire in molti modi, ma mostreremo inevitabilmente al bambino il grado di consapevolezza che possediamo noi di fronte al tema della diversità – spiego o non spiego a mio figlio che le persone sono di culture diverse, colori diversi, lingue diverse?
Parlare delle diversità non vuol dire ‘metter loro delle idee in testa’ e ‘avvelenare le loro menti” (Winkler, 2009). I bambini possiedono un panorama di significati, immagini e pensieri legati al mondo della multiculturalità. Cercare di far dialogare questa infinita varietà di pensieri potrebbe essere un’enorme ricchezza per l’educazione interculturale. Incoraggiare ed ascoltare questi bambini, confrontarsi sul perché uno di loro parla di pelle bianca e l’altro di pelle rosa, o perché si dice pelle nera piuttosto che marrone, sentirli “discutere” tra loro anche delle piccole differenze tra i colori della loro pelle, significa accompagnarli in un processo conoscitivo di grande intensità e spessore. Si tratta di un lavoro che richiede profondo coraggio da parte dei professionisti dell’educazione: il coraggio di affrontare tematiche scomode; il coraggio di permettere ai bambini di esplicitare e manifestare tutti quei pregiudizi di cui inevitabilmente e giustamente siamo tutti portatori e trovare un modo per contenerli, riflettendo sul loro contenuto; il coraggio di permettere a ciascuno di rimanere protagonista e portatore dei propri pensieri senza sentirsi giudicato e senza sentirsi in dovere di uniformarsi al resto delle opinioni, perché anche questo vuol dire interculturalità. Finché ci ostiniamo a raccontare che siamo tutti uguali nulla può cambiare: è dando voce alle idee che nascono nella mente di ognuno che è possibile ridurre il pregiudizio a favore dell’ascolto e dell’accettazione reciproca.
Veronika De Monte e Federica Imelio