L’autore della singolare tesina che vi presentiamo era impegnato in una Comunità alloggio gestita da Itaca. La sua coordinatrice si è prodigata affinché potesse frequentare il percorso delle 500 ore compensative per ottenere la qualifica di OSS, dopo il percorso di studi per Tecnico dei Servizi Sociali. Io sono stato il suo docente di tecniche di assistenza di base. Il penultimo giorno di lezione mi ha dato la possibilità di leggere la tesina che avrebbe portato agli esami, perché voleva sapere cosa ne pensassi: ho corretto due frasi che riportavano terminologie improprie, ma ho dimostrato di apprezzare il lavoro, che ha un taglio molto particolare. La tesina è stata molto apprezzata dai responsabili dell’Arsap (l’ente privato di formazione dove la persona ha sostenuto il corso) ed è stata inviata, con il consenso dell’autore, a tutti i docenti. Anche la commissione regionale ha apprezzato il lavoro e lo studente ha superato distintamente gli esami, conseguendo il titolo di OSS con l’intenzione di tornare a lavorare con noi. (Luca Spagnol, Responsabile Processi Infermieristici)
Premessa
Al giungere del mattino, ci armiamo di noi stessi e del nostro voler essere.
Partiamo con la cronologia meccanica di ciò che dobbiamo fare da manuale ma allo stesso tempo non abbiamo la certezza di ciò che ci aspetti lungo la giornata.
Secondo il protocollo del processo assistenziale, nello svolgere il nostro servizio dovremmo agire unicamente per: accertamento, pianificazione, attuazione e valutazione.
Come ben sappiamo, il lavoro è un ingranaggio, importante per il funzionamento della macchina chiamata “vita”. Sappiamo anche che la vita è costituita da una molteplicità di ruoli, di divise o di costumi che mutano a seconda del contesto senza necessariamente procedere per accertamento, pianificazione, attuazione e valutazione.
Questo, a conferma che sotto l’innocente divisa, non va sommersa o annegata la sfera emotiva dell’operatore.
Certamente il nostro lavoro richiede un buon livello di conoscenza della tecnica per essere svolto adeguatamente.
Durante il mio percorso formativo, però, spesso mi sono trovato a far fronte a situazioni di contrasto fra il ruolo professionale e la sfera intima-emotiva.
Stavolta ho deciso di mettermi in gioco proprio perché credo che, oltre all’importanza di svolgere al meglio il nostro lavoro come previsto dall’accordo Stato-Regione del 22 febbraio del 2001, sia importante condividere con voi alcuni dei molti momenti che hanno lasciato in me un’impronta indelebile durante i tirocini.
Anche se molto raro ed inusuale lo strumento, a mio parere, adatto per fare ciò è la Poesia…
Attraverso la poesia ho cercato di parlare di Persone invece che di pazienti o utenti.
Parlo di come si incrocino tante diverse vite fra di loro e di come alcune di esse spesso si assomiglino.
Parlo delle molte barriere od ostacoli socio-culturali che ho trovato durante i tirocini, delle scarse condizioni igienico-sanitarie in cui versavano alcune persone.
Al cuore della questione: il buio e la luce
L’eclisse senza forma
1
Leva desto il pensiero
Al gioir della brina sul ferro
2
Or che la leggiadra notte solitaria s’è fatta lontana
Con il canto violinato riaffioro come l’orchidea dalla mia trincea d’autunno.
3
L’ombra nascosta della Rosa del tempo astenuto,
flette come il battito
su un in bilico gesto contenuto.
4
Oh canto
Che il sottile refolo della mia voce
ritragga l’impronta del mio essere
Che le mutilate gioie dell’alba trascorsa ti sussurrino delle cicatrici con cui il tempo ha livellato le mie passioni
Oh canto
Che io possa far carezza all’apparir del tramonto
Stringendo al petto l’apposito rosario
che ha contemplato la mia eterna Alba.
Chiarimento
1
Leva desto il pensiero
Al gioir della brina sul ferro
In questi primi versi si sta parlando dei disturbi di sonno delle persone assistite, sia durante il SAD che nel tirocinio ospedaliero.
2
Or che la leggiadra notte solitaria s’è fatta lontana
Con il canto violinato riaffioro come l’orchidea dalla mia trincea d’autunno.
Sapendo che le notti per queste persone non sono mai leggiadre bensì il momento in cui si trovano soli con i propri pensieri e le proprie difficoltà esistenziali (in special modo le persone malate che abitano da sole) ho voluto creare la figura retorica dell’ossimoro. I temi principali di questi versi sono: la forte impronta della demenza patologica; l’isolamento sociale; le scarse condizioni igienico-sanitarie in cui si trovavano alcune persone e la grossa difficoltà di accettazione riscontrata dal sottoscritto.
3
L’ombra nascosta della Rosa del tempo astenuto,
flette come il battito
su un in bilico gesto contenuto.
Con questi versi faccio riferimento alla postura, all’assenza di movimento fisico, a come spesso assumere uno stile di vita scorretta a lungo andare porti all’insorgenza di patologia, e quindi di un decadimento psico-fisico.
4
Oh canto
Che il sottile refolo della mia voce
ritragga l’impronta del mio essere
Che le mutilate gioie dell’alba trascorsa
ti sussurrino delle cicatrici con cui
il tempo ha livellato le mie passioni
Oh canto
Che io possa far carezza all’apparir del tramonto
Stringendo al petto l’apposito rosario
che ha contemplato la mia eterna Alba.
Questi ultimi versi parlano del percorso di accompagnamento alla morte di una persona che ho seguita durante il tirocinio in ospedale (prima) e successivamente nel SAD. La nostra amicizia è nata durante il tirocinio in ospedale, per via delle difficoltà linguistica, in cui mi sono visto coinvolgere per fare da intermediario fra il personale ospedaliero e la famiglia (e viceversa), grazie alla mia conoscenza della lingua francese.
Vi parlo di questo specifico rapporto per dirvi che, grazie all’ascolto della mia sfera emotiva, ho potuto capire aspetti che dal punto di vista professionale non avrei potuto facilmente cogliere, ovvero ho raccolto le confidenze che questa persona/paziente mi faceva riguardo al suo ultimo desiderio prima di morire, e successivamente condiviso in sede di riunione con l’équipe.
Il desiderio di quest’ultimo non era quello di andare in paradiso o di sentire meno dolore possibile ma era di stringere la mano a sua moglie prima di morire.
Area Tecnica
Concludendo:
Era un paziente oncologico, con un tumore alla prostata, che via via aveva perso la sua mobilità sino a diventare una persona allettata.
Un allettato che dipendeva totalmente dagli altri per la sua pulizia, il suo benessere, la sua nutrizione, e forse forse anche i suoi sogni dipendevano dagli altri.
Questa era una questione che, secondo me, si poneva anche lui.
Tempo di un battito di ciglia e si è trovato ad avere un catetere vescicale con una sacca a circuito chiuso per l’eliminazione urinaria.
…Ma tutto questo non gli ha impedito di sorridere…
Hassam Bambore