RIPARTIRE DALLA CITTÀ DEL NOI

La citta del noiOperare nella Comunità e pensare progettualità

TORINO – Eravamo in 800. In un clima di ascolto, concentrazione, leggerezza, riflessione e condivisione: da giovedì 10 a sabato 12 marzo si è tenuto a Torino il terzo appuntamento nazionale, organizzato dal Gruppo Abele per le operatrici e gli operatori sociali, sul tema “La Città del Noi, per una politicità dei desideri”. Due giorni e mezzo ricchi di contenuti, contributi teorici e riflessioni, workshop, incontri.
Filosofi, attori, scrittori, urbanisti, psichiatri, registi si sono succeduti con interventi diversi, centrati tutti sul tema della città: intesa sia come spazio di vita comune a molte persone ma anche come aggregatore di differenti istanze e bisogni, in cui vive la maggior parte della popolazione mondiale. Riporta il manifesto dell’evento: “la città è simbolicamente il luogo delle vite collettive e individuali. Oggi le città sono delicati esperimenti, dove si prova a comporre le tante diversità, tra pulsioni a escludere e tensioni a tener dentro. Dentro i tessuti locali gli operatori sociali sono a chiamati a essere anime pensanti e desideranti. Perché il lavoro sociale è sempre discorso sulla città, a beneficio di quanti, in modi differenti e spesso diseguali, le abitano”.
L’occasione è stata significativa per arricchire le molte riflessioni in atto circa il lavoro sulla Comunità che interessa trasversalmente, sia direttamente che indirettamente, da sempre, tutti i servizi gestiti da Itaca, ma che oggi sta interrogando intensamente, anche a seguito del lavoro di ricerca avviato all’interno dell’Ambito Urbano 6.5 di Pordenone sul lavoro sociale come lavoro di Comunità, l’area Minori e l’Ufficio commerciale, nel tentativo di elaborare un pensiero operativo interno riproducibile.
Barbara, Cristina, Chiara, Enrico, Paola, Samantha, Sara, Silvia: il gruppo di Itaca rappresentava efficacemente funzioni, competenze e progetti d’intervento trasversali e diversificati nel territorio. Una varietà rappresentativa sia dell’operare nella Comunità che nel pensare progettualità per la stessa.
Numerosi gli spunti di riflessione: punto di partenza è il riconoscimento che le città sono formate da molteplici “noi” e che non esistono più Comunità di appartenenza, ma solo Comunità di elezione (Salvatore Natoli). Comunità – reali o virtuali – a cui si sceglie, oggi, intenzionalmente di appartenere. In questi “molti noi”, dirà don Luigi Ciotti, è necessario coltivare continuamente (nuove) forme di convivenza, rivendicando anche il valore dei nostri errori, la dignità di sbagliare.
Tutto questo richiede la necessità di recuperare il legame tra le Istituzioni e il territorio, ritrovando, secondo Franca Olivetti Manoukian, una soggettività all’interno dell’intersoggettività delle molte persone coinvolte, recependo cioè il valore unico del singolo, capovolgendo, usando un’immagine di fantasia la città.
L’attenzione va ancora una volta alle “reti”, a cui non appellarsi ideologicamente, considerandole la sola salvezza del nostro welfare, ma curando i micro legami “dialogici”, perché perennemente ridefiniti dalle relazioni, in quanto mediatori dell’apprendimento sociale.
Una relazione di cura assimilata ad una “fiamma della comprensione emozionale” che dobbiamo mantenere viva e alimentare sempre, secondo lo psichiatra Eugenio Borgna: ritrovando nei volti e nei gesti delle persone che quotidianamente incontriamo la dimensione dell’altro, sentendo il destino di chi abbiamo difronte come il nostro.
Inevitabile toccare, nei vari interventi, i temi caldi dell’attualità nazionale e internazionale: la crisi economica che unisce e produce fragilità e desideri, l’accoglienza dei migranti che crea immagini e interrogativi a cui bisogna rispondere, la politica locale che sembra allontanarsi sempre di più dalla tutela dei diritti del territorio, i fatti di cronaca nera che interrogano sull’ammalarsi delle reti, la valorizzazione dei beni comuni e la necessità di realizzare luoghi di non-connessione in una società perennemente connessa…
“Se leggiamo noi al contrario scopriamo che è io alla n-esima potenza” dirà Bergonzoni, venerdì sera, introducendo con questa battuta l’evento organizzato alla Fabbrica delle E. Un intervento-fiume il suo, in pieno stile Bergonzoni, in cui abilmente gioca con parole e significati relativamente ai molti temi del titolo e della complessità insita nel lavoro sociale. Rispetto alla figura dell’educatore dirà: “… vorrei un educatore che fa un altro tipo di formazione. Fa una formazione interiore poi ulteriore poi esteriore. L’educatore io lo vedo che va negli asili a raccontare ai bambini che è lì dove si comincia a capire la vita. Andrei lì per raccontare che esiste anche l’arte, la poesia, che non esiste solo la realtà, il dimostrabile, l’esperibile, che non esiste solo la scienza ma esiste anche la coscienza, esiste anche l’invisibile e bisogna cominciare ad allargare: … io lo chiamo voto di vastità”.
Chiude la carrellata degli interventi Franco Fois, direttore responsabile del Gruppo Abele, con una bella metafora sul lavoro sociale: “un tempo pensavamo che fosse sempre necessario un direttore d’orchestra che guidasse i singoli elementi. Poi, ad un certo punto, qualcuno si è organizzato con dei quartetti e ci si è accorti che non era necessario un direttore: bastava avere tutti lo stesso spartito per suonare la medesima musica. Oggi, credo che dobbiamo pensarci come un complesso jazz: buoni professionisti capaci di improvvisare, di fare anche assoli se necessario, sempre con un’attenzione al gruppo, e alla possibilità di suonare insieme”.

Enrico Cappelletto

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