UNA COMUNITÀ SENZA FANTASMI MANICOMIALI È POSSIBILE

Michael and The RevolutionLa storia e l’esperienza di cooperazione sociale nella Comunità terapeutica di Via Colle

Maniago

Quando ancora non c’erano le Rems esisteva, esiste e resiste ancora una Comunità terapeutica, quella di “Via Colle”. Nata a Maniago nel 2009, è il frutto della coprogettazione tra l’Azienda per l’Assistenza Sanitaria n. 5 “Friuli Occidentale” (proprietaria della struttura) e la Cooperativa sociale Itaca. A Itaca è stata affidata l’animazione del servizio, con l’obiettivo di realizzare – attraverso una costante coprogettazione con i servizi pubblici – quella che tecnicamente si definisce una Comunità terapeutica “ad alta intensità socio assistenziale”, aperta sulle 24 ore e 7 giorni su 7, priva di una connotazione di tipo esclusivamente “sanitario”, finalizzata ad accogliere persone afferenti al Dipartimento di Salute mentale di Pordenone.
In linea con le recenti normative nazionali, inoltre, la Comunità terapeutica di Via Colle mira anche a progettare percorsi alternativi e differenti rispetto agli “inserimenti” negli (ancora non ex) Ospedali Psichiatrici Giudiziari, offrendo – attraverso la partecipazione alla “vita di comunità” – dei percorsi di accoglienza, condivisione, cura, socializzazione, riabilitazione e integrazione nel territorio.
Pur dovendosi interfacciare con un contesto sociale storicamente “fragile” e tradizionalmente conservatore rispetto alle politiche socio assistenziali e di integrazione nel territorio, dal 2009 la Comunità di Via Colle ha già ospitato 28 persone: di queste, 16 sono stati ex detenuti provenienti dagli Ospedali Psichiatrici Giudiziari, 2 dalle carceri; 15 sono già state dimesse dalla Comunità verso altre strutture presenti nel territorio e presso domicili privati; inoltre, per 3 persone è stato possibile creare ex novo un Gruppo Appartamento sempre a Maniago.
Tutto ciò è stato possibile, anzitutto, stabilendo delle reti sociali con i servizi e le associazioni del territorio tra cui il Comune di Maniago (in particolare l’assessorato alla Cultura), la Comunità Casa Carli di Maniago (rivolta alla disabilità e gestita da Itaca) e i Servizi Educativi Territoriali di Maniago-Spilimbergo, la Scuola di Mosaico di Spilimbergo, la Cooperativa San Mauro, il Maneggio Gelindo dei Magredi, la Coop Noncello, l’associazione Maniago Nuoto, l’associazione Aitsam, la Polizia Municipale e i Carabinieri di Maniago, l’associazione L’Artistica e La Contrada dell’Oca.
Per noi di Via Colle è stato fondamentale promuovere laboratori di gruppo e attività socio riabilitative a partire “dal basso”, ossia incoraggiando gli scambi intersoggettivi e gli incontri conviviali tra operatori di Itaca e residenti nella Comunità. Tra questi, spicca la nascita del gruppo musicale (composto da operatori e beneficiari del servizio) “Michael and The Revolution”, che si è esibito già diverse volte nel territorio.
Ogni beneficiario del servizio è parte attiva del processo di vita e di cura, e questo è il messaggio che desideriamo esca da Via Colle. Nel senso che non frequenta semplicemente il gruppo, ma lo costruisce, ne è parte fondante. Una sorta di “responsabilità diffusa”, perché tutti possono partecipare alla riabilitazione e ogni soggettività, se adeguatamente valorizzata, può diventare una risorsa per la collettività. Allo stesso modo, le attività non sono dei “pacchetti” precostituiti e “asettici”, finalizzate esclusivamente alla trasmissione di nozioni o concepite con lo scopo di animare o divertire le persone. Al contrario, ogni idea viene pensata, pianificata e realizzata in piena collaborazione, coprogettiamo anche nella vita quotidiana.
E saggia è stata l’idea di coinvolgere, nel lavoro di cura da parte del servizio pubblico, gli operatori della Cooperazione sociale. In quanto tali, noi siamo soggetti terzi e non esclusivamente sanitari: siamo persone che non fanno un corpo unico con l’“istituzione” – depotenziando così il fantasma delle istituzioni totali manicomiali -, ma ci prendiamo cura assieme al servizio pubblico di una soglia d’attesa istituzionale, vitale per l’altro, senza psichiatrizzare, sanitarizzare o psicologizzare troppo il campo del sociale. Anzi, aprendolo alla possibilità di valorizzare e custodire delle tracce di soggettività del beneficiario del servizio.

Si arriva così al 2013: si inizia a (s)parlare di chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziarie di creazione di Residenze per l’Esecuzione della Misura di Sicurezza Esterna (REMS). Due posti letto della Comunità maniaghese vengono destinati ad una funzione Rems provvisoria, ed esplodono le polemiche: così i media locali dibattono e, dando voce ad alcuni consiglieri comunali e cittadini, si chiedono se sia meglio “metterli vicino al carcere” oppure “blindarli tutti in Via Colle” (cit. dei titoli di alcuni articoli.
Le istituzioni pubbliche si arenano nel tentativo di mostrare una parvenza di sicurezza e normalità, sostenendo che esisterebbero dei “piani anti-rischio” e “più telecamere e sicurezza perimetrale”. Ma la frittata è fatta: l’opinione prevalente è che tutta la Comunità di Via Colle sia ora un carcere, per cui d’ora in avanti farà più notizia il fatto che una persona ricoverata possa “scappare”, piuttosto che allontanarsi volontariamente e magari rientrare di sua scelta in Comunità, attribuendo alla struttura stessa e al personale che vi opera una funzione di aiuto, sostegno e di cura; tutte situazioni che gli utenti difficilmente trovano all’esterno.
Eppure, chi lavora nella salute mentale o, più in generale, si occupa di assistenza e cura alla persona, sa bene quanto sia difficile instaurare e mantenere relazioni terapeutiche significative con i beneficiari dei servizi, soprattutto quando ancora manca nell’altro l’esplicita consapevolezza relativa alla ricerca e/o bisogno di aiuto. Da qui il passo verso la paura è breve. Peraltro, vi sono numerose ricerche cliniche, condotte sulla popolazione mondiale, che dimostrano come le persone con sofferenza mentale compiano reati in misura assai inferiore rispetto al resto della popolazione, insomma, ci sono dati statistici e incontrovertibili che attestano che il minor rischio di reiterazione di reati in persone con sofferenza psichica rispetto al resto degli abitanti. Ma questo non fa breccia.

Private della possibilità d’instaurare con le istituzioni un vero “lavoro di rete”, queste nuove offerte di legame sociale, che usualmente si creano all’interno delle Comunità, rischiano di essere spogliate della loro funzione transizionale fra istituzione e società, spazio interno ed esterno, soggetto e mondo. Generate in tal modo, possono potenzialmente ricreare luoghi manicomiali, magari dotati di ogni sorta di comfort per mascherare un sottostante (e illusorio) controllo sociale, alimentando così l’immaginario persecutorio dello psicotico, oppure annichilendolo, attraverso la fallace promessa di una qualche forma di normalità, di soddisfazione di ogni tipo di bisogno (alloggio, sigarette, soldi, svago…), senza chiedere apparentemente nulla in cambio. Così intesa, tale funzione relazionale ed intersoggettiva cessa di essere confine, risorsa, fonte di apertura, offerta di un contesto relazionale e affettivo entro il quale – ad esempio – un giovane ospite possa aprirsi, mettersi in gioco, sperimentarsi, interrogare e interrogarsi, reinserirsi nelle reti del legame sociale, curarsi e prendersi cura del mondo che lo circonda. Un utilizzo inappropriato della funzione terapeutica, difatti, rischia di rafforzare la sfiducia che le persone con sofferenza mentale tendono già a riversare sui Servizi di Salute mentale e, in generale, sulle istituzioni.
La verità è un’altra: le Rems – occorre dirlo – sono un falso problema, uno specchietto per le allodole. Perché non è con la creazione di una Rems – magari lontano dai centri abitati, cinta da mura altissime e con un fossato pieno di coccodrilli – che si promuoveranno salute e benessere, o si cureranno le persone, o si farà meglio prevenzione. Al contrario, si creeranno nuovi mini Opg.
Il vero problema, crediamo, resta quello di riuscire ad andare oltre e ri-dimostrare che l’impossibile può divenire possibile, che si può ancora una volta partire da una realtà tendenzialmente “chiusa” per aprirla al senso del collettivo, demolendo in nuce il sistema manicomiale e gli invii in Rems. Come la Comunità di Via Colle a Maniago, che si è sempre protesa per l’integrazione di persone provenienti dal territorio, con e senza misure di sicurezza, ancor prima che venisse creata una funzione Rems al suo interno. La Rems di Maniago infatti non ha trasformato la Comunità terapeutica, la vera sfida oggi per noi è che la Rems si riesca a caratterizzare come una funzione interna della Comunità di Via Colle, in una logica “pro tempore”.
Ma questo obiettivo sociale sarà perseguibile solo se si discuterà in primo luogo di problemi reali, non di “fantasmi”, e se si valorizzeranno le buone pratiche e le reciproche professionalità, rivitalizzando un contesto sociale all’apparenza fragile, ma ricco di potenzialità. Inoltre, sarà necessario costruire e promuovere delle comunità scientifiche meno asettiche e sufficientemente aperte e presenti nei vari territori, ove le esperienze pilota e le buone pratiche possano circolare e coinvolgere tutti gli attori sociali (fruitori dei servizi della salute mentale, operatori sociali, infermieri, medici, volontari, sindaci, cittadini, Cooperative sociali, magistrati, giornalisti, sindacati, associazioni…), con l’obiettivo di superare assieme sì l’istituzione manicomiale, ma anche il pensiero manicomiale, per favorire il benessere della collettività.

Massimiliano Paparella
Coordinatore Comunità Via Colle

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