Metti che una domenica mattina ti svegli con il venerdì di Milano ancora negli occhi ed aggiungici il racconto che di quel venerdì fa un ragazzo di 20 anni davanti ad una telecamera di un tg qualsiasi. Metti che la schiera di quelli che hanno sempre tutte le soluzioni anche stavolta non manca di farsi sentire intonando la litania del “ma vai a lavorare!”. E metti che allora anche a te prudono i polpastrelli e che qualche minuto dopo le dita iniziano a scorrere veloci sulla tastiera quasi da sole… perché? Per dirci serenamente che l’ironia, quella peggiore, quella distruttiva, quella a senso unico, può trasformarsi in un tragico boomerang.
Pordenone
Mattia Sangermano l’ho conosciuto anch’io. Anzi, a ben vedere l’abbiamo conosciuto tutti… ve lo ricordate? Era quello che a scuola non era cattivo ma lui di studiare “itagliano” cioè proprio non c’aveva voglia (cioè forse boh solo educazione tecnica, ma finché si parlava di motore a scoppio). Era quello che non era cattivo, solo che lui passava i pomeriggi a truccarsi il motorino e se gli stavi simpatico un giro te lo faceva pure fare… era quello che non era cattivo e anzi con lui si rideva tanto perché in fondo era pure simpatico.
Nel frattempo, mentre i professori rassegnati pensavano senza dirglielo: “Pazienza, andrà a montare lavatrici come suo papà, non è portato per gli studi!”, Mattia cresceva e, uscito con “sufficiente” dalle medie, si ritrovava a 16 anni con una bella tuta blu a fare gli straordinari per permettersi la 125 e la discoteca… e tu a volte, se non ad invidiarlo, ti eri trovato ad essere ammaliato da quella vaga aria di libertà che annusavi vedendolo sfrecciare con la sua moto.
Poi era arrivato il servizio militare: Mattia continuava a non essere cattivo ma, dopo essere stato “massacrato” dai nonni ed essersi guadagnato la stecca di reggimento, se lo facevi arrabbiare, beh, Mattia venti flessioni prendendoti a calci nelle costole te le faceva fare… “perché è giusto così, devi fare la botta!”. E Mattia per tutti e dodici mesi della naja aveva continuato ad essere buono e la sera prima del congedo l’aveva trascorsa a passare la stecca ad un altro Mattia più Mattia che mai, solo con tre mesi in meno di servizio sulle spalle. Il giorno dopo Mattia rimetteva la tuta blu che la mamma gli aveva messo via un anno prima e ricominciava la vita di sempre.
Mattia adesso è un uomo e come sempre non è cattivo… è solo vuoto… vuoto e schiavo di chiunque si sappia imporre a lui con l’unico linguaggio che conosce: quello del “sei ciò che hai” e del “qui comando io cioè…!”. Mattia non è cattivo, è solo pirla (parole di suo padre); e ad un giornalista scaltro abbastanza in cerca di scoop offre candidamente il suo pensiero che incespica, approssimativo e sconnesso, e in 24 ore diventa un simbolo. Mattia non è cattivo… “è solo che lui è così dai, lo conosciamo tutti… i suoi, poveretti, non ci arrivano e da lì che cosa poteva uscire?”.
Cosa voglio dire? che Mattia non si nasce ma si diventa… lo si diventa con un apprendistato esigente e duraturo, con la complicità di tante persone (amici, educatori, parenti…) che oggi come ieri incontrandolo continuano a girarsi dall’altra parte e a barare con la realtà, magari ridendoci su… e con il contributo decisivo di chi invece Mattia lo nota e lo vede solo come un cranio vuoto da riempire alla bisogna, e sempre e solo a proprio vantaggio. A me Mattia fa rabbia e fa pena. Quelli che hanno fatto la frittata hanno lasciato a terra le tute nere e se ne sono tornati a casa coprendo la ritirata coi fumogeni… in mezzo a tutto questo casino rimangono in piedi i Mattia della situazione… non sono cattivi, sono solo vuoti… incapaci di articolare un pensiero perché con loro ci abbiamo rinunciato… forse troppo presto.
Renato Esposito